martedì 15 novembre 2016

Problema e Sfida

E poi mi accorgo che mi basta cambiare la parola "problema" in "sfida" per fare diventare tutto più chiaro, per ritrovare l'energia per agire, per rialzare lo sguardo, per accendere il mio miglior sorriso. Per capire che la differenza la faccio io e che quella sfida è arrivata per permettermi di migliorare, di crescere. Quella sfida, che diventi medaglia o cicatrice, è comune la mia vita.

domenica 13 novembre 2016

SOGNO, VISIONE, PASSIONE, VITA.

Chiudi gli occhi e cerca il TUO SOGNO. Cerca quel sogno che ti fa battere il cuore più forte, quello che ti fa sbocciare il tuo miglior sorriso, quello che sbriciola tutte le tue paure.
Prendi quel sogno e trasformalo nella TUA VISIONE. Visualizza tutti i dettagli, tutti i particolari di quella visione. Senti i profumi, vivi tutta l'intensità dell'emozioni di quella visione. Apri gli occhi e agisci perché quella visione diventi la TUA PASSIONE, diventi la TUA VITA.

domenica 4 settembre 2016

Prima di parlare e scrivere.

Cari Xander e Kiki,
Fermatevi! Non parlate, non scrivete... ancora. Fermatevi e riflettete. Se quello che state per dire, scrivere, vi farà sentire meglio, vi farà sentire superiori agli altri, perché voi avete capito tutto, perché voi sapete e gli altri no. Se avete certezze e non idee, se parlerete di persone e userete solo frasi affermative, allora è chiaro, state zitti e non scrivete. Se invece non siete sicurissimi di quello che state per dire o scrivere, se invece avete il dubbio di poter dire o scrivere una cosa sbagliata ma lo state facendo con onestà e voglia di confronto, se siete pronti ad essere smentiti e rivedere tutto, se siete pronti ad ammettere di aver torto. Se avete idee e non certezze, se parlerete di progetti e cose, se inizierete dicendo "io credo...", allora parlate e scrivete.

Cari Kiki e Xander, vi voglio bene siete la cosa più importane della mia vita.

domenica 28 agosto 2016

Il terremoto

Cari Xander è Kiki,
questi sono giorni di dolore e dramma, tante perone sono morte e tantissime stanno male a causa del terribile terremoto che ha colpito il centro Italia. È difficile trovare una risposta al perché debbano succedere queste cose, non ci possiamo accontentare di un semplice "è la natura". In questo caso sapevamo che quella è una zona a rischio e dovevamo lavorare, agire perché le case venissero messe in sicurezza. Esiste tutta la tecnologia necessaria perché queste cose non succedano più. Ci perdiamo in mille cose e non riusciamo a dare le giuste priorità. Non possiamo giustificarci con "i terremoti non sono prevedibili", non sappiamo quando ma sappiamo che ci saranno. Non possiamo evitare un terremoto ma possiamo agire perché quando ci sarà le case non crollino.
È anche inutile cercare le colpe, serve solo ad accontentare i nostri temporanei mal di pancia, dobbiamo cercare le cause e poi agire per risolverle. Tutti, non solo "i politici", si prendano la responsabilità di agire per mettere le case italiane in sicurezza, prima di tutto chi ci abita, poi chi le progetta e le costruisce. Non dobbiamo farlo perché ce lo dice la legge, dobbiamo farlo per noi, per la nostra vita e quella dei nostri figli. Dobbiamo essere per primi noi i responsabili del nostro futuro, solo se tutti agiremo, le cose cambieranno.
Questi eventi scatenano in ognuno di noi una forte energia, l'energia della rabbia, non sprechiamola urlando, sbraitando e cercando le colpe, usiamo per agire per risolvere le cause.

E adesso non pensiamo solo al ricostruire, agiamo subito anche per prevenire altri morti, mettendo le case di tutti gli italiani in sicurezza.

Cari Kiki e Xander vi voglio un sacco di bene, siete la cosa più bella della mia vita.

ps: qui sotto vi riporto quello che ho scritto su 18mq
"Cosa dirò ai miei figli? Dirò che ci sono state tantissime persone che senza dire niente sono partiti nella notte, che ci sono state tantissime persone che nel silenzio hanno scavato a mani nude per ore e ore. Dirò che è stata la forza della speranza che ha dato l’energia a queste persone. Dirò che anche davanti alla devastazione di un terremoto, niente è più forte della speranza di un giorno migliore. Gli dirò di credere negli uomini, soprattutto in quelli che non parlano, che agiscono e che guardano al domani con la speranza in un mondo migliore. Cercherò di insegnargli a essere così."

domenica 3 luglio 2016

La forza del gruppo

Cari Xander e Kiki,
Sono felice. Sto facendo una delle cose che mi rende più felice, comunicare, scrivere. Il post di domenica è stato letto da tantissime persone e questo mi fa ancora più felice. Io scrivo per essere letto, scrivo perché voglio comunicare. Questo blog, non è il mio diario personale, è il mio urlare al mondo quello che penso e che provo. Mi piacerebbe che fosse più interattivo, mi piacerebbe avere più commenti, creare una vera condivisione. Credo sia importantissimo per la mia crescita la possibilità di confrontarmi con le diverse visione del mondo, attraverso la condivisione.
Sono un animale sociale, ho bisogno degli altri per realizzare me stesso.

Due sabati fa, ho camminato sui carboni ardenti. Tecnicamente ho fatto una Pirobazia. E’ stato bello e intenso, ma non per le 4 volte che ho attraverso il tappeto di carboni, ma perché l’ho condiviso con un gruppo di persone speciali. Non ci conoscevamo, non c’erano ruoli e quindi pre-giudizi, eravamo tutti simili nelle nostre diversità, soprattutto eravamo tutti uguali davanti al fuoco, davanti alla paura del fuoco. Questo è stato il vero valore di quell’esperienza: condividere, con l’umiltà dei tutti simili, una forte prova di coraggio. Per essere simili, non bisogna essere uguali in tutto, basta un elemento di unione, in quel caso il fuoco. Quando si è simili, quando ci concentriamo sulle cose che ci uniscono, si diventa parte del gruppo, e la forza del gruppo diventa la nostra forza per superare i nostri limiti. Per superare la paura del fuoco e fare il primo passo.
Di quelle ore non ricordo il calore del fuoco, e vi garantisco che scottava, ricordo il calore del gruppo. Il calore delle persone speciali di quel gruppo.

Parlo spesso dei nostri limiti, limiti che mettiamo noi su di noi. Limiti sulle nostre capacità. “Non posso fare questo”, “non sono capace a fare quest’altro”, “per guarire ho bisogni di quella medicina”, “l’inglese non lo imparerò mai”, “ho paura dei ragni”. Il nostro quotidiano è la gestione dei nostri limiti per sopravvivere, quando dovrebbe essere, superare i nostri limiti per trovare tutta la forza delle nostre capacità, per fare quello che ci rende felici. Superare i nostri limiti per vivere a pieno tutto il bello che ci offre il mondo.

Con l’esperienza della Pirobazia, ho capito che oltre ai limiti che poniamo su noi stessi, dobbiamo superare i limiti che ci poniamo nei confronti degli altri. I rapporti sono regolati da dei limiti, molti legati a quelle che noi consideriamo diversità. Pensate solo al rapporto uomo-donna, quanti limiti ci sono che impediscono la possibilità di trarre forza da questo rapporto. O si è una coppia o tutto è più difficile. Difficile pensare serenamente a una semplice amicizia uomo-donna, senza ipotizzare che comunque potrebbe nascere una storia. Cosa che non accade mai se il rapporto è uomo-uomo. Ci sono i limiti legati ai ruoli, i limiti di rapporto fra dirigente e sottoposto, fra dottore e malato, fra insegnate e alunno. Dove c’è un ruolo c’è almeno un limite legato alla diversità. Ci sono i limiti legati all’intimità. Sappiamo che certe domande non si possono fare perché “sono troppo intime”, limitando la possibilità di condividere determinate cose e dare valore al rapporto. Tantissimi i limiti legati al giudizio. Non voglio avere rapporti con quella persona perché ha una cattiva fama, un cattivo giudizio sociale, magari solo per il diverso colore della pelle o per il diverso accento o per il diverso Dio a cui crede.
Superare questi limiti, ci permette di creare un rapporto più intenso con gli altri, ci permette di diventare un gruppo unito e l’energie del gruppo rendono ancora più forti e intense le nostre. Da soli si può fare tanto, ma in gruppo si può fare anche l’impossibile, come camminare sui carboni ardenti.

Kiki è Xander vi voglio bene, siete la cosa più bella della mia vita.

martedì 14 giugno 2016

Strategie per il cambiamento per le aziende e le persone

Cari Xander e Kiki,
Qui sotto la bozza di quello che avrei dovuto dire durante il mio intervento al TEDx di Alessandria il 11/06/16. "Avrei dovuto", perché alla fine sono andato a braccio, e lo potrete verificare guardando il video del mio intervento, che troverete su TED da fine luglio.

“Buongiorno a tutti. La domanda a cui cercherò di dare risposta in questo mio intervento è: “Perché le aziende devono cambiare le loro strategie per adeguarsi a questo mondo in continuo cambiamento? Come lo devono fare?”

Partiamo da 3 evidenze: 
Il mondo è sempre cambiato, quello che è cambiato oggi è il modo in cui sta cambiando. Il cambiamento adesso è molto veloce. Si è passati dal parlare di innovazione al parlare di evoluzione. 
Prima le scoperte e le invenzioni creavano “innovazione”, dal vecchio si passava al nuovo. Dopo le innovazioni si viveva un periodo di consolidamento, di sfruttamene di queste. E’ stata inventata la ruota, e questa innovazione è stata consolidata in milioni di anni. E’ stata inventata la macchina a vapore, e questa innovazione è stata consolidata in centinaia di anni. E’ stato inventato il fax e questa innovazione è stata consolidata in qualche decennio. I tempi di consolidamento si sono sempre più ridotti fino ad annullarsi. Oggi le scoperte e invenzioni sono innumerevoli ogni giorno. Oggi si scopre e inventa e non si consolida più ma si condivide. La condivisione, grazie alla rivoluzione digitale, permette un immediato aumento del “sapere” che spinge a un’altra scoperta e innovazione. Non si passa più dal vecchio al nuovo ma si evolve. Un esempio sono i telefoni cellulare, si è passati dai primi che telefonavano e basta, a quelli di oggi che permettono di fare tantissime cose, e ogni nuovo modello evolve sempre, migliorando con nuove funzionalità.
Si è passati da un mondo statico a un mondo dinamico. Prima i cambiamenti erano pluri-generazionali, perché un cambiamento si consolidasse erano necessarie più generazioni. Oggi in una generazione ci sono pluri-cambiamenti, con un'evoluzione continua.

La seconda evidenza è che il mondo è imperfetto. L’errore è parte del sistema. L’uomo è parte del mondo, l’uomo è imperfetto. Rendersi conto di questo è molto importante perché ci fa capire che la perfezione non esiste. La legge di Pareto, dice che con il 20% del tempo si ottiene l’80% del risultato e con il restante 80% del tempo si ottiene il restante 20% del risultato. In un mondo dove non esiste la perfezione e la velocità fa la differenza, è meglio il fare, quindi arrivare all’80% del risultato con il 20% del tempo, che tendere alla perfezione con il restante 80% del tempo, che tanto non ci arriveremo mai. 

Il valore è l’essere diverso dagli altri. L’essere diverso è l’elemento che ci permette di uscire dalla massa per essere visti, scelti.

Cosa deve fare un’azienda per adeguarsi a queste evidenze? 
- Mettere il valore delle persone al centro del proprio business, perché è l’unico modo per l’azienda di essere motore dell’evoluzione e del cambiamento.
- Valorizzare l’errore come momento di apprendimento.
- Individuale i propri talenti differenzianti e svilupparli, e non cercare di standardizzarsi eliminando solo le proprie negatività.
- I valori, i criteri di scelta sono più importanti del metodo e del fine.
- Aprire l’azienda, questo vuol dire sia far entrare nuove competenze ed esperienze in azienda sia far uscire le proprie.

Partiamo dal mettere il valore delle persone al centro del nostro business. Nelle scuole di economia insegnano che i 3 fattori produttivi sono: “la terra, il capitale e la forza lavoro”. L’imprenditore è colui che coordina questi tre fattori produttivi per il raggiungimento del fine dell’impresa.
Anche qui troviamo una forte staticità del concetto, risorse date e strumenti di coordinamento definiti al raggiungimento di uno scopo. In un mondo dinamico, questo non funzione perchè non si può pensare di replicare all’infinito un processo di coordinamento dei tre fattori produttivi. Tutti i processi devono essere ridefiniti, per migliorarli ed evolverli, ogni volta che si realizzano. Non devono essere replicato ma evoluti. Solo mettendo le persone al centro dei processi, questo può avvenire. Le aziende fatte di persone e non di procedure, fatte di persone che condividono chiaramente gli stessi valori decisionali, persone consapevoli del proprio valore e delle proprie responsabilità, saranno in grado di autoregolarsi al cambiamento e anzi essere loro il motore del cambiamento.

La valorizzazione dell’errore. Se vogliamo muoverci in un ambiente sconosciuto, lo dobbiamo fare ad approssimazione di errori. La scienza, la tecnica e la medicina si muovono così. Anche noi entrando in una stanza buia che non conosciamo, per accedere la luce tentiamo di toccare il muro alla nostra destra, se sbagliamo perché non troviamo l’interruttore, impariamo che li non c’è e proviamo vicino e proseguiamo così fino ad aver trovato l’interruttore. Se abbiamo veramente imparato da tutti i nostri errori, prima o poi l’interruttore lo troviamo.
La nostra infanzia è caratterizzata da questo sistema di apprendimento, non conosciamo niente del mondo. Per imparare a camminare dobbiamo prima provare a camminare. Così per il parlare, il mangiare e tutto quello che per noi oggi è naturale fare. Mediamente prima di camminare, cadiamo almeno 600 volte, cioè tentiamo un equilibrio, sbagliato per 600 volte fino a quando non troviamo quello che ci fa camminare. 
Quando utilizziamo questo metodo di apprendimento? Quando non conosciamo le variabili e i sistemi che regolano l’ambiente in cui dobbiamo agire. Quando non conosciamo le regole del percorso che dobbiamo compiere per arrivare al nostro scopo.
Fino a qualche decennio fa, forse meno, le regole dei sistemi economici erano abbastanza definite. Regole statiche e consolidate, che con diversi anni di studio sono state anche formalizzate e insegnate nelle università, master e anche per corrispondenza e su DVD.
Una buona idea, studi di mercato ben fatti, strategie ben definite e potere economico, erano le chiavi di un probabile business di successo. Si studiavano i casi di successo e si cerva di replicarli al meglio. La cosa funzionava e funziona ancora. Ma in futuro, cioè domani mattina?
Quando si sa cosa si deve fare, perché le regole sono chiare, non seguirle, sbagliare è una cosa fortemente negativa a livello personale, aziendale e addirittura sociale e va punita. Brutti voti a scuola, licenziamenti in azienda e gogna sociale. Soprattutto nel mondo europeo, il fallimento di un’azienda è visto come un imprenditore incapace, che deve essere punito e reietto dalla società, tanto da impedirgli di poter ricominciare con una nuova azienda fino a remissione dei suoi peccati. E se fosse stato invece solo un bravo imprenditore che ci ha provato e ha solo sbagliato? Magari al tentativo successivo avrebbe scoperto la fusione a freddo. Ovviamente parliamo solo di gentiluomini.
Quando non si sa cose si deve “fare”, anzi dove “fare” in modo diverso è il valore, l’unico modo di agire e tentare e quindi anche sbagliare. L’errore, la sua analisi e l’apprendimento da questa è l’elemento base di un business in un mondo in evoluzione come quello di oggi.
Le aziende devono creare un clima diffuso di accettazione dell’errore, di evidenza e condivisione dello stesso a livello aziendale e di divulgazione dell’apprendimento che ne è scaturito. 
Se continuiamo a dare all’errore un valori negativi, ci sarà sempre il terrore di sbagliare per la paura di essere puniti. E cosa succederà? Nessuno farà niente, così sicuro non si commetteranno errori, l’azienda rimarrà statica in uno scenario dinamico. L’azienda sarà fuori dal mercato. L’azienda chiuderà.

La crescita del talento differenziante della nostra azienda. Il mondo non è perfetto, tanto meno noi e le nostre aziende ma c’è sicuramente qualche cosa della nostra azienda che qualcuno, anche solo noi imprenditori, consideriamo un talento. E’ li che dobbiamo sviluppare la nostra azienda. Paradigma semplice nel mondo dinamico ma non accettato in quello statico. 
Come già detto nelle scuole economiche di tutti i livelli, vengono insegnate le regole formali di base per costituire un azienda. Nei libri sono formalizzati i modelli delle varie aziende perfette, tipi di gerarchie, diffusione dei poteri, sono tanti, almeno una 50antina. Dalle società uni-personali, fino alle multinazionali più grandi al mondo. Apri un’attività, decidi il tuo modello e da li parti, puoi anche decidere di cambiare modello, se cambi la dimensione dell’azienda, ma devi rimanere sempre in quei 50 modelli, altrimenti ti mancano le regole per funzionare bene.
Visto che siamo tutti bravi imprenditori, conosciamo i modelli e cerchiamo di adattare quelli dei libri alle nostre aziende e per farlo cerchiamo quello che in azienda non corrisponde e iniziamo tutta una serie di forzature. Ancora di più se abbiamo chiamato un consulente ad aiutarci. Passiamo anni a inserire sistemi di controllo, modelli decisionali, procedure standard. Energie, soldi e soprattutto tempo per strutturare in modo formale la nostra azienda. E quando ci siamo riusciti? Tutto funziona come un orologio, avete formalizzato le procedure e formalizzato il sistema di controllo delle procedure. Siete finalmente un’azienda da manuale. Un’azienda come tutte le altre del manuale. Ma come, come tutte le altre? Ma noi vogliamo essere diversi, vogliamo che i nostri clienti ci riconoscano come diversi dai nostri concorrenti. Bene forse era meglio concentrarsi sull’essere diversi, sviluppando il talento differenziante dell’azienda e non concentrandosi sul volerla standardizzare. 
Il formatore e scrittore Alessandro Chelo, scrive nei suoi libri, molte delle cose che vi dico arrivano da li, che tutte le aziende, come tutte le persone hanno delle positività e delle negatività. Le negatività sono di tue tipo, strutturali e tecniche. Quelle tecniche, come il non saper l’inglese, non avere una contabilità adeguata alla crescita, non avere un carrello elevatore per scaricare i camion, si possono e anzi si devono risolvere. Facendo corsi di inglese, cambiando software gestionale e comprando un carrello elevatore. Invece le negatività strutturali, sono basso, ho la sede in una valle lontana dalla città, siamo in 4 e la mia prima concorrente è una multinazionale, sono negatività strutturali che non si possono risolvere, è quindi inutile continuare a concertarci su quelle, bisogna accettarle. 
Se vogliamo essere riconosciti per il nostro talento differenziante, cerchiamolo, sviluppiamolo, alimentiamolo e in parallelo miglioriamo le nostre negatività tecniche e accettiamo quelle strutturali. 

La chiara definizione e condivisione dei valori, dei criteri di scelta aziendali. Noi possiamo agire solo sul nostro quotidiano, possiamo fissarci degli obiettivi, dobbiamo fissarci degli obiettivi, ma l’unica cosa su cui possiamo agire sono le decisioni, le azioni di qui e ora. E’ fondamentale sapere dove voler andare, ma sugli obiettivi non abbiamo nessun controllo diretto. Sono gli elementi che guidano il mondo dinamico che li influenzano, obiettivi veri e raggiungibili oggi, domani potrebbero non esisterlo più. Nelle scuole di economica, dove regna ancora l’idea di un mondo statico, dove per decenni non varia nulla, insegnano che la cosa più importante è l’obiettivo. Fissa bene il tuo obiettivo e fai di tutto per raggiungerlo, lui è li che ti aspetta. Già il giorno dopo la partenza, si è sicuramene sposta, dopo una settimana è sparito.

Dobbiamo cambiare le priorità, prima definiamo il nostro metodo di azione. Definiamo quali sono i valori che guideranno le nostre scelte quotidiane, le nostre azioni, da quelle più banali a quelle fondamentali per l’impresa. L’obiettivo deve essere dinamico come il mondo in cui si realizzerà e che lo regola. Se seguiamo il nostro metodo, arriveremo al nostro obiettivo, dovunque lui si troverà.

Ultimo elemento ma importantissimo: l'apertura. Bisogna che le azienda abbiano il coraggio di condividere il proprio sapere, superando la paura di perdere potere, per permettere a tutto il nuovo di entrare in azienda per farla evolvere. Per gli "esperti" questa è la cosa più difficile perché non sono disposti a condividere il proprio sapere perché perderebbero potere e dall'altra parte, essendo esperti, credono di sapere già tutto e non vogliono far fatica per imparare cose nuove. 
Le aziende devono soprattutto aprirsi ai giovani, che hanno la mente ancora aperta e voglia di imparare.

Qui sotto la scaletta e mappe mentali che ho utilizzato durante la presentazione.


Cari Kiki e Xander, siete la cosa più importante della mia vita. Vi voglio bene.

domenica 29 maggio 2016

Cambiare e crescere per diventare quello che si vuole essere.

Cari Xander e Kiki,
Non puoi cambiare. Non puoi cambiare tu, è non puoi cambiare gli altri. Ce lo ripete ogni volta che proviamo a cambiare, a essere protagonisti della nostra vita. E’ inutile, sei fatto così, lascia stare, sono tutte fatiche sprecate. Ti sembrerà di cambiare per un po’ ma poi tornerai quello di prima, quello che sei. Peggio ancora se provi a cambiare gli altri. Tu sei fatto così, quante volte ci abbiamo provato? Sempre lo stesso risultato, tu sei fatto così, è inutile carcera di cambiare.
Il nostro cervello ce lo ha detto tantissime volte.
Ma allora nasciamo “già fatti così”? Perché se nasciamo “già fatti così”, allora posso ammettere che non possiamo cambiare, ma se invece nascessimo “da fare” e ci facessimo vivendo, perché non potremmo cambiare?
Io credo che nasciamo “da fare”, che giorno dopo giorno ci facciamo, giorno dopo giorno cresciamo nel nostro essere. Oggi giorno cambiamo, ma non perché non siamo più quelli del giorno prima ma perché siamo qualcosa di più rispetto a quelli che eravamo il giorno prima. Si continua a crescere.
La parola chiave è proprio crescere. Ammettiamo che si possa crescere e cambiare quando siamo bambini, ragazzi, giovani, poi basta. Da un momento in poi iniziamo a dire che non si può più cambiare.
Associamo il cambiare dell’essere con il cambiare dell’aspetto. Fin che cresco nel corpo, posso crescere nella persona. Cambiamo radicalmente nell’aspetto fino ai 20, 25 anni? Allora possiamo cambiare nell’essere fino a quell’eta.
Sono convinto che questo sia dovuto al fatto che viviamo in modo passivo la nostra vita. Cambiamo fino a quando in modo passivo, ci troviamo a vivere nuove esperienze. Con le nuove esperienze si cresce e si cambia. Quando siamo giovani le nuove esperienze sono tantissime e quindi cresciamo tantissimo. Poi tendiamo a stabilizzarci, a vivere nella nostra routine e allora smettiamo di crescere
“Ci facciamo” in modo passivo.
E se cambiassimo atteggiamento? Se diventassimo attivi nel nostro vivere? Se decidessimo di essere presenti nel nostro qui e ora, nel nostro presente, sempre come protagonisti della nostra vita.
Sono convinto che potremmo cambiare, crescendo.
Ci vuole coraggio, perché vorrebbe dire vivere una strada nuova ogni istante, una strada non ancora percorsa che non conosciamo. La strada che ci può però portare dove vogliamo andare noi.
Non cambiare, vuol dire percorrere la strada della sicurezza, quella che conosciamo, che molte volte non ci piace nemmeno, ma che ci fa meno paura.
Accettiamo che il passato non lo si possa cambiare, quello che è stato è stato, ma prendiamo consapevolezza che questo non vuol dire assolutamente che allora non si possa cambiare il nostro presente per cambiare il nostro futuro.
La scelta è nostra. Se troviamo il coraggio di affrontare la paura del cambiamento, la paura di sbagliare, se troviamo il coraggio di affrontare cose nuove, di uscire dalla nostra zona di conforto, se lottiamo con il nostro cervello perchè non ci proponga i soliti schemi, scuse e giustificazioni per non fare, allora cresciamo e diventiamo quello che vogliamo veramente essere. La frase è al presente perchè il presente è l’unico momento in cui possiamo agire e cambiare.

Regole:
Dobbiamo avere il coraggio di affrontare la paura di sbagliare
Accettiamo di non poter cambiare il nostro passato
Si può cambiare e crescere sempre
Viviamo e possiamo agire solo nel presente
Se vogliamo cambiare e crescere lo possiamo fare solo qui e ora, solo nel presente
Dobbiamo cambiare e crescere per diventare quello che vogliamo essere
Si cambia e si cresce facendo nuove esperienze e guardando in modo nuovo quelle già fatte

Cari Kiki e Xander, siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene.




sabato 14 maggio 2016

Le Aspettative, Obiettivi ed essere al centro delle nostre scelte

Cari Xander e Kiki,
capita che programmiamo la nostra vita sulle aspettative. Scegliamo la scuola superiore per l'aspettativa di un lavoro ricco di soddisfazioni e soldi, ci sposiamo per l'aspettativa di una vita felice e piena d'amore. Scegliamo in base alle aspettative.
Quindi le aspettative sono un elemento molto importante nella nostra vita, direi quasi fondamentali. Basiamo molte delle scelte più importanti della nostra vita, proprio sulle aspettative, ma cosa sono le aspettative?
Visto la loro importanza, è giusto farsi questa domanda. Il Dizionario Garganti scrive: "quello che ci si aspetta", ed è proprio così, le aspettative sono quello che "aspettiamo" che succeda. Ovviamente le aspettative normalmente sono positive, tutti vorremmo che le conseguenze delle nostre scelte siamo cose positive per noi. Passiamo molto tempo a pensare alle aspettative delle nostre scelte, anzi molte volte diamo più importanza all'aspettativa che alla scelta stessa. Questo succede spesso nel matrimonio, ci sposiamo già proiettati nell'aspettativa di ritrovarci con il nostro compagno, mano nella mano, a ottant'anni a godere di un tramonto spettacolare su una spiaggia tropicale. Vi ritrovate? Io si.

Ma attendere, aspettare è non fare, è non agire. Se basiamo le nostre scelte sulle aspettative, vuol dire scegliere e aspettare che qualche cosa, che qualcuno agisca per noi, per dare un risultato positivo alle nostre scelte. Aspettare vuol dire, proiettare il nostro qui e ora nel futuro, senza azione.

Per me, questo non funziona perché vuol dire delegare la nostra vita, vuol dire non vivere, sperare non mettendosi al centro, facendo passare il tempo in modo passivo senza agire.

Le scelte devono essere fatte per un obiettivo, non per un'aspettava. Scegliere per un' obiettivo, vuol dire anche definire le azioni necessarie per raggiungerlo. Le azioni sono il fare, fare noi, agire noi per la nostra vita. Definire un obiettivo, implica il definire il tempo di realizzazione. Scelgo una scuola perché voglio, entro qualche mese dal termine, lavorare in un determinato campo, e finito la scuola agisco perché questo succeda. Scelgo di stare con una persona perché ho l'obiettivo di essere felice qui e ora, da subito, nel presente, con quella persona e ogni giorno faccio qualche cosa io perché questo avvenga.

Vivere sulle aspettative, per me, vuol dire non vivere nel presente, vuol dire portare la nostra realtà nel futuro e li rimanere attaccati alle belle emozioni legate all' aspettative positive, con il rischio, certezza, che a un certo punto realizziamo di non aver veramente vissuto, e li nascono i problemi.

Regola: Non scegliamo per le aspettative, scegliamo per i nostri obiettivi e agiamo con il fare per raggiungerli. Dobbiamo essere noi i protagonisti della nostra vita.

Cari Kiki e Xander vi voglio bene. Siete la cosa più bella della mia vita.

mercoledì 4 maggio 2016

Vivere vuol dire emozionarsi

Cari Xander e Kiki,
Una delle considerazioni che maggiormente mi ha cambiato il modo di vedere le cose, di vedere la mia vita e il mondo, è l’evidenza che noi viviamo a emozioni. Belle emozioni come la felicità, la soddisfazione, la realizzazione, l’eccitazione, la serenità, l’amore. Emozioni neutre, come l’apatia, la noia e brutte emozioni come la tristezza, la rabia, la sofferenza, la delusione, l’odio.
Provate ad andare nella vostra memoria, troverete dei ricordi associati a immagini ma soprattutto associati a emozioni. Immagini che vi riporteranno a delle emozioni belle, brutte o neutre. Provate ad andare anche nel vostro futuro, quando pensate a cosa potrà accadere, immaginate sempre delle situazioni legate a immagini ed emozioni. 
Vivere nel presente, nel qui e ora, vuol dire vivere nell’emozione del momento. Tutto quello che noi consideriamo mondo reale, le cose che ci circondano, le persone con cui parliamo e interagiamo, alla fine si traducono in momenti di emozione per noi. 
La vita è un susseguirsi di emozioni.
I nostri 5+1 sensi raccolgono le informazioni dal mondo esterno, il cervello le elabora e le trasforma in emozioni.

Se vivere, vuol dire emozionarsi, per quanto mi riguarda, ho deciso che voglio vivere belle emozioni. Voglie essere felice e cercherò nel mondo esterno a me quelle cose che saranno strumento per la mia felicità. Già la consapevolezza di essere vivo è un’evidenza oggettiva che diventa strumento di felicità.

Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita, vi voglio bene!!!

sabato 30 aprile 2016

Mettersi al centro della propria vita.

Cari Xander e Kiki,
quello che scrivo qui sotto è successo veramente...


12 aprile 2015
Dai, fatta!!! 
Che male, cavolo si è rotta la spalla, senti come brucia. Non riesco a muoverla. Adesso ci dobbiamo tirare su, non abbiamo fiato. Stendi il braccio, allunga la mano, prendi la corda con il fiocco arancione. Se non ci raddrizziamo, non ci tirano giù. Cxxxo che male. Perché l’abbiamo fatto.
Anche questa è fatta, adesso passa il male. Ancora 2 centimetri e prendiamo la corda… fatto. 
Che male, la spalla è sicuramente rotta.
Goditi che ce l’abbiamo fatto, adesso ci tirano giù. Per il braccio vedremo. Ok, salvi. 

Cxxxo, sbrigati a toglierci l’imbragatura che vogliamo muovere il braccio e alzaci in piedi… proprio a noi doveva capitare l’apprendista con l’istruttore. Dobbiamo anche fare la facci di chi si è divertito.
Ce l’abbiamo fatta!!!! Goditi quello, non è da tutti. Abbiamo superato la paura di buttarci.

Cxxxo dici. Adesso goditi tu la scarpinata nel bosco per tornare su. Con i tuoi polmoni non arriveremo mai al ponte, pensa che figura di mxxxa quando arriverà quello dopo e ci vedrà svenuti nel bosco… che coxxxxni. Ottimo lavoro, complimenti.

La smetti! Volevamo, dovevamo farlo e l’abbiamo fatto. Ne avevamo paura, abbiamo affrontato la paura con il coraggio e ci siamo buttati. 
E… e cosa abbiamo dimostrato? Adesso abbiamo sicuramente una spalla rotta, non riusciremo a salire fino al ponte senza svenire, chiameremo Yara a Houston, e le diremo: “lo so che già ti sei incazzata perché settimana scorsa mi sono buttato con il paracadute senza dirti niente ed è andata bene. Oggi invece mi sono buttato dal ponte, bellissimo, ma… mi sono rotto una spalla.” e lei, giustamente, ci insulterà, ricordandoci la nostra responsabilità sui bambini.
Abbiamo dimostrato che le paure ci sono ma si possono affrontare con il coraggio, abbiamo dimostrato che i nostri limiti arrivano dalle nostre paure e che per superarli dubbiamo avere il coraggio di farlo.
E una spalla rotta, il casino che adesso dovremo affrontare con tutti? Per arrivare a casa dobbiamo fare 200 chilometri, ma con la spalla rotta come facciamo? 
Chi ha detto che la spalla è rotta? Fa male ma forse si è solo slogata o stirato il muscolo. A casa ci arriviamo, abbiamo le marce automatiche e useremo il sinistro, se ci farà ancora male la spalla andremo al pronto soccorso. Goditi l’aver fatto una cosa speciale e passo dopo passo arriveremo al ponte, poi alla macchina e alla fine a casa.
Lo sai che tutti diranno che abbiamo fatto una caxxata, Yara, la Mamma, molti in ufficio non lo diranno ma lo penseranno. Hanno ragione, alla nostra età cosa dovevamo dimostrare? Abbiamo due figli bellissimi e noi abbiamo rischiato la nostra vita per cosa? Siamo dei coxxxxxni.

E’ tutta la vita che decidiamo cosa fare e cosa non fare, pensando a cosa dicono e pensano gli altri di noi. Stiamo facendo questa cosa, proprio perché abbiamo deciso di metterci al centro della nostra vita, decidere noi per noi. Ricordi? 
Siamo stati un bravo figlio, un bravo marito, un bravo capo, perché abbiamo sempre deciso per quello che gli altri si aspettavano da noi. Non volevamo deluderli, guidavamo la nostra vita secondo i loro valori. Ricordi? 
Ci abbiamo messo 43 anni a capirlo ma adesso lo abbiamo capito. Non voglio passare il resto della mia vita a buttarmi dai ponti, questo è un momento di rottura, soprattutto per imparare ad affrontare le paure con il coraggio, le paure che la malattia ci ha lasciato, ma anche perché dobbiamo fare quello che vogliamo “noi”, dobbiamo metterci al centro della nostra vita, anche se in questo momento con scelte estreme.
Non vuol dire egoismo, tutt’altro, vuol dire consapevolezza che nessuno può veramente decidere per il nostro bene, perché nessuno ci conosce veramente. Non ci conosciamo noi, come possiamo pensare che ci conosca qualcun altro. Conoscerci, nel senso di sapere cosa ci fa veramente felice. 
Chi scegli per noi, usa i suoi valori, usa i suoi parametri per decidere cosa è bene e male per noi ma i suoi parametri non sono i nostri.
Oltre al fatto che comunque qualsiasi cosa abbiamo fatto non è mai andata bene veramente agli altri. Per gli altri, non siamo stati un bravo figlio, un bravo marito e un bravo capo quanto avrebbero voluto. Perché le persone valutano i fatti degli altri, le proprie intenzioni e vorrebbero un mondo perfetto. Lo facciamo anche noi ma ne abbiamo preso coscienza e cerchiamo di superare anche questo limite delle intenzioni e fatti.
Ma perché lo vuoi fare? Perché vuoi metterci al centro? Io stavo bene in quella vita, anzi, abbiamo vissuto senza porci il problema della scelta. Sceglievamo in base a quello che volevano e si aspettavano gli altri da noi. Decidere è difficile e se lo facciamo noi, dobbiamo anche assumerne la responsabilità. Quando le cose andavano bene, eravamo tutti felici e quando andavano male, avevamo anche la bella scusa che non era colpa nostra ma di tizio o caio che “ci aveva fatto scegliere quella cosa”. Facile, nessuna fatica nello scegliere, nessuna responsabilità e in più facevamo anche felici gli altri.
Ok, se ti va bene non vivere, ma la malattia ci ha fatto capire, con l’evidenza che dobbiamo morire, che siamo nati per vivere e vivere vuol dire scegliere e fare, scegliere per noi e fare. Se non scegliamo per noi, vuol dire non vivere la nostra vita ed è quello che noi abbiamo deciso di non volere. 
Sì, prima era molto più facile, vivere senza scegliere per noi è molto più facile. Ci evita di capire veramente cosa vogliamo dalla nostra vita e soprattutto ci toglie la responsabilità della scelta fatta. E’ quello che fanno moltissime persone. Scelgono secondo quello che è giusto per la società, giusto per gli altri, senza riflettere su cosa vogliono veramente, e poi se le cose vanno male è colpa di qualcuno altro. Meglio di così? Zero fatica, zero responsabilità. Peccato che alla fine siamo tutti tristi, incazzati e demoralizzati. Peccato che alla fine non viviamo, ci lasciamo vivere… 
Gran bei discorsi, ma parliamo della spalla, della salita, del tornare a casa, di quello che dirà Yara e la Mamma. Non dovevamo buttarci! Io me lo sentivo che sarebbe andata male. Ci sarà stato un motivo se le ultime due cifre dei chilometri sul cruscotto, quando abbiamo parcheggiato, erano 1 e 3… 13, ci sarà stato un motivo se al posto di buttarci alle 12.30 come da programma, ci siamo buttati alle 13.20… 13. Tutto diceva che non dovevamo farlo. Ti ricordi la nostra vocina cosa ci ha detto quando l’istruttore ci ha detto “metti fuori le punte dei piedi” e noi abbiamo guardato giù? Ci ha detto “Alessandro cosa cxxxo stai facendo?” e noi che non l’abbiamo ascoltata e ci siamo buttati.
Non ci siamo schiantati, quindi è andato tutto bene. Ce l’abbiamo fatta. La spalla guarirà. Con calma, passo dopo passo, respiro dopo respiro, mettendoci tutto il tempo di cui avremo bisogno, saliremo fino al ponte. Lasceremo che Yara e la Mamma, e tutto gli altri, dicano quello che vogliono. Se ci vogliono bene e ascolteranno a cuore aperto i motivi per cui ci siamo buttati, ci capiranno e continueranno a volerci bene. Se non sarà così il problema è loro non nostro. Il discorso “dei segni”, del 13 e tutto il resto, è solo legato a quello a cui da attenzione il nostro cervello in determinati momenti. Ogni istante della nostra vita, veniamo sottoposti a milioni di informazioni e il nostro cervello decide di elaborarne ed evidenziarne solo alcune. Quando compriamo una macchina nuova, per qualche settimana non vediamo che quel modello, sembra che tutti abbiamo comprato la nostra stessa macchina. Quando ti nasce un figlio, camminando per la città vedi solo carrozzine e mamme in cinta. Tutto il mondo ha deciso di fare figli quando l’ho hai fatto tu. Non è così, è il nostro cervello che sta evidenziando solo determinate cose di tutto quello che vede. Se viviamo un momento di dubbio e paura, come quello che abbiamo vissuto prima di lanciarci, il nostro cervello ci evidenzia tutta una serie di segni per spingerci a non fare quella cosa. Per lui la paura è sopravvivenza, è evitare un pericolo. Per questo che abbiamo bisogno del coraggio per sbloccare il nostro cervello e superare la paura. La paura è un valore positivo, per milioni di anni è stato il nostro strumento principale di sopravvivenza. Senza paura ci saremmo fatti sbranare dalle belve, ci saremmo bruciati con il fuoco e ci saremmo buttati dai dirupi… Il 13 è si un segnale, è il segnale che abbiamo paura di qualche cosa e che per superarla abbiamo bisogno del coraggio per farlo. Se affronti la vita con positività, ti accorgerai che il tuo cervello inizierà a evidenziarti un sacco di cose "fortunate".

Sembra che la cosa più importante per te sia cosa dicono e pensano gli altri di noi? Lo so che abbiamo bisogno di una nostra identità sociale, che quello che dicono gli altri ha un peso su di noi ma prima di tutto ci deve interessare quello che NOI diciamo e pensiamo di NOIe solo dopo, ci deve interessare quello che gli altri dicono e pensano di NOI. La vita è la nostra. Abbiamo deciso di metterci al centro della nostra vita e lì dobbiamo restare. Accettiamo che gli altri possano pensare che stiamo facendo una cosa sbagliata ma andiamo avanti con le nostre convinzioni. Questo non solo per il fatto che ci siamo buttati da un ponte, questo per tutto quello che faremo nella vita.

Ti ricordi cosa abbiamo deciso qualche settimana fa? Abbiamo deciso che quello che facciamo e faremo, lo facciamo e faremo per cercare di dare un mondo migliore a Xander e Kiki. Abbiamo deciso di dedicare la nostra vita a questo. Il “nostro” agire qui e ora per “un mondo migliore per loro”. Per far questo abbiamo deciso di partire dal cercare di trasmettergli i nostri valori e sappiamo che se non siamo noi i primi ad applicarli, non saremo mai credibili e non potremo trasmetterli. Più che ascoltare, loro vedono cosa facciamo. Quindi non possiamo agire secondo i valori degli altri. Se vogliamo che siano felici, dobbiamo per primi noi ad agire per essere felici. Se vogliamo che decidano loro per la loro vita, e non seguano invece quello che gli dice la società, gli dicono gli amici e noi stessi, dobbiamo essere i primi noi a metterci al centro delle nostre decisioni. Ti ripeto, che mettersi al centro, decidere noi della nostra vita, non vuol dire essere egoisti, vuol dire decidere con i nostri valori, secondo quello che per noi è giusto e soprattutto prendendoci la responsabilità di quello che facciamo, mettendoci al centro del nostro cambiamento. 
Belle parole e nei fatti!
Direi che buttarsi da un ponte, possiamo definirlo un fatto o sbaglio? E guarda che siamo arrivati in cima al ponte, e siamo a due fatti. Quando arriveremo a casa, a tre.
Cambiare la nostra vita, vuol dire semplicemente cambiare un fatto dopo l’altro… il difficile è il primo passo e forse per noi è stato fregarcene della vocina che ci diceva “Alessandro che cazzo stai facendo!”

Regole:
-) Le paure sono positive per la nostra sopravvivenza ma anche un limite da superare. Super superare le nostre paure/limiti dobbiamo avere il coraggio di farlo. (vedi anche il post sulle paure)
-) Mettersi al centro della propria vita, vuol dire decide per noi con i nostri valori. Vuol dire non decidere per quello che gli altri credano sia giusto e utilizzando i valori degli altri;
-) Mettersi al centro non vuol dire essere egoisti, vuol dire prendersi la responsabilità della propria vita;
-) Con l'evidenza che dobbiamo morire, che la nostra vita ha un termine, dobbiamo prenderci la responsabilità di VIVERE, cioè di fare e di fare secondo quelli che sono i nostri obiettivi e il nostro fare. Vivere vuol dire scegliere e fare, sceglie noi per fare per un mondo migliore;
-) I segni di fortuna e di sfortuna sono solo i segni della realtà che ci sono sempre ma il nostro cervello decide di evidenziarci secondo il nostro umore. Se siamo positivi, se crediamo di poter fare quello che voglia, ci evidenzierà segni della fortuna. Se siamo negativi, se cerchiamo le cose negative, il nostro cervello ci evidenzierà i segni della sfortuna ma ci sono sempre entrambi;
-) Ci deve interessare prima cosa pensiamo e diciamo NOI di NOI e solo dopo quello che dicono e pensano gli altri di noi. Se noi crediamo veramente in quello che facciamo allora accetteremo anche gli agli altri pensino male di quello che facciamo, ma andremo comunque avanti per la nostra strada.
-) Cambiare la nostra vita, vuol dire cambiare solo un fatto dopo l'altro.

Kiki e Xander siete la cosa più importante della mia vita. Vi voglio bene.

martedì 26 aprile 2016

Cari Xander e Kiki,
oggi, vi racconto una storia.

"Entriamo in questo negozio stranissimo. Tante luci, colori, suoni, sono voci ma noi non lo sappiamo ancora, e fa freddo, tanto freddo. Fuori dal negozio stavamo benissimo, tutto tranquillo ovattato ma soprattutto faceva caldo. Non siamo per niente felici di essere entrati in questo negozio. Fuori stavamo molto meglio, ma siamo dentro, non sappiamo perché ma siamo dentro.

Nel negozio, ci viene data un’automobile. Piccola, senza nessun optional, con un motore con pochi cavalli. Noi non abbiamo la patente e nessuno ci ha nemmeno mai spigato cosa è un’automobile. Appena entrati nel negozio, delle persone vestite strane, con dei camici, delle mascherine e dei guanti ci hanno preso letteralmente in braccio e ci hanno messo nell’automobile. Sempre queste persone vestite strane, spingono noi e la nostra nuova macchina nel negozio vicino.

Qui le cose sembrano più tranquille, meno luci e rumori, voci più basse ma sempre freddo e disagio fisico. Veniamo accolti da due persone, gentilissime con noi. Ci mettono la benzina, lavano la carrozzeria e continuano a dire a noi e a tutti quelli che entrano nel negozio quanto sia bella la nostra macchia. Passano tutto il tempo a curarsi della nostra automobile.

Passiamo tantissimo tempo in questo negozio, sempre con queste due persone, a cui iniziamo a voler bene. Iniziano anche a dirci di provare a guidare, ci dicono di non preoccuparci, di provare che tanto ci sono loro per qualsiasi cosa. 

Non ci spiegano però come funzionano i comandi.

Noi siamo intraprendenti e ci proviamo. Davanti a noi abbiamo delle “cose”, una rotonda, altre a forma di leve. Ci sono delle lucine e dei numeri. Iniziamo a toccare e schiacciare tutto. Ovviamente i risultati sono disastrosi ma la macchina inizia a muoversi. Sobbalza, gira, frena. 
Ci prendiamo gusto e iniziamo sempre di più a schiacciare, girare, muovere e provare. Ogni tanto sbagliamo e andiamo contro il muro del negozio, roviniamo anche la macchina ma le due persone gentili sono sempre li a consolarci e ad aggiustarla. 

A ogni accelerata, incidente, ogni cosa che facciamo con la macchina loro sono li a dirci bravi! E’ bello ci fa sentire bene, ci toglie la paura e quindi noi continuiamo con i nostri esperimenti. Abbiamo anche capito che c’è il clacson e lo suoniamo e suoniamo ancora. I due sono felici anche di questo.

Il nostro è un modello di automobile speciale, perché più passa il tempo e più diventa grossa e aumentano gli optional.

Quando iniziavamo finalmente a stare bene e a divertirci, più chilometri e meno muri, le due persone ci spingono fino alla scuola guida. 

A differenza di quanto uno potrebbe pensare, nella scuola guida, la prima cosa che hanno detto è “non muovetevi, non accelerate e state fermi dove siete”. E cosi siamo stati per tutto il tempo. Una cosa veramente frustratane. La cosa bella della scuola guida è che non siamo gli unici in macchina. Ci sono altri come noi, abbiamo tutti macchine diverse, ma con loro ci divertiamo. 
Gli istruttori parlano tutto il giorno, ci spiegano come è fatta la macchina, quali tipi di strade ci sono e soprattutto ci parlano delle regole e dei cartelli stradali. Ci raccontano un sacco di storie di altre automobili che hanno girato per le strade del mondo. 
Quasi tutti i giorni ci fanno fare degli esami sui cartelli stradali, pochissime volte ci fanno andare sulle strade a provare le nostre macchine.
Stiamo anni in questa scuola, e la nostra automobile speciale continua a diventare più grande, potente e bella. Noi iniziamo a prendercene cura, vediamo che più è bella la nostra automobile più siamo ammirati e alcune volte addirittura invidiati. Iniziamo a comprare delle cose per la nostra automobile. I maschi le gomme allargate e le marmitte più grosse e rumorose, le femmine invece cambiano colore e cerchi delle ruote tutti i giorni. A noi piace essere un po’ stile rally, infangati e puzzare un pò, invece le signorine sono sempre pulitissime e profumate di nuovo. Più o meno abbiamo messo tutti la radio. I pochi che possono permetterselo hanno il cellulare integrato nel cruscotto dell’ultima generazione a 12 pollici. Sono i più invidiati, lo vorremmo tutti quel cellulare.
Ogni giorno finita la scuola guida, torniamo nell’altro negozio, dove ci sono le due care persone. Però adesso sono meno attente e ci fanno meno complimenti, si preoccupano principalmente di metterci la benzina, di cambiarci le gomme e tenere il motore in efficienza. A noi non interessa più di tanto di loro, anzi se ci facessero trovare la tanica di benzina vicino al box dove stiamo di notte a riposare, sarebbe il massimo.

Finalmente abbiamo finito la scuola guida! Siamo pronti, siamo tutti in strada. Eccoci finalmente a sfrecciare per le vie del paese. Oramai la nostra automobile speciale non cresce più, siamo alla versione definitiva. Per un po’ continuiamo a tornare dalle due persone care per la benzina, per farci dare i soldi per comprarci l’ultima versione degli optional per l’automobile e quando abbiamo qualche problema con il motore. 
Loro ci hanno però avvisato che ci aiuteranno ancora per poco e che dobbiamo trovare noi il modo di “mantenerci”. Non abbiamo capito bene cosa intendono, abbiamo però capito che non ci daranno più la benzina e i soldi e che prima o poi dovremo comprarci un box nostro.

La regola di vita della scuola guida, “è più figo chi ha l’automobile più bella”, vige anche qui fuori. Anzi qui è estremizzata, guidiamo principalmente per avere i soldi per rendere la nostra automobile più bella. 

Ci sono delle strade, dove guidandoci sopra guadagni dei soldi, le chiamano le strade dei soldi. Più chilometri uguale più soldi. 
Facciamo chilometri e chilometri ogni giorno per guadagnare qualche soldo in più. “Chilometri uguale soldi” è la nostra regola di vita. Non ci interessa dove andiamo, l’importante è macinare chilometri. I più bravi e fortunati guidano nelle strade dei soldi delle città o sulle autostrade dei soldi, ma le automobili sono tante e le strade dei soldi meno, quindi alcuni di noi per guadagnare sono costretti a guidare tutto il giorno in strade dei soldi sterrate e polverose, nel fango o nel catrame. Ci sono talmente tante automobili e poche strade dei soldi, che alcuni di noi non riescono nemmeno a uscire dal box con la mattina. 
Si, ci sono le strade normali, quelle vicino al mare, quelle in montagna, quelle li sono vuote, si riempiono solo il sabato e la domenica. Sono vuote perché andando su quelle non si guadagnano soldi. A noi non interessa guidare, a noi interessa guadagnare soldi, così abbiamo visto e imparato che funzionano le cose.

Alcuni dei nostri amici della scuola guida sono andati via, hanno preso delle strade che non li hanno riportati più indietro. Sono andati da qualche parte nel mondo. Ogni tanto anche noi, prendiamo delle strade normali, andiamo a visitare qualche nuova città, e ci piace anche tanto. Ma quello è una svago non è la vita. 

Passano gli anni, di gomme ne abbiamo consumate parecchie. Iniziamo ad avere qualche problema con il motore e la carrozzeria ma fortunatamente ci sono i meccanici e i carrozzieri, che però costano e quindi giù il piede sulla tavoletta e via a fare ancora chilometri e chilometri sulle strade dei soldi.

Passano altri anni e il motore inizia a perdere sempre più colpi, non riusciamo a fare più i chilometri che vorremmo, e siamo costretti ad andare piano. Quelli delle strade dei soldi non ci vogliono più, loro vogliono automobili veloci e potenti per fare tanti chilometri. Anche la carrozzeria e le gomme non sono più il massimo. Iniziamo ad andare per le strade normali. 

Andando piano, finalmente ci accorgiamo che il paesaggio è bellissimo, e iniziamo a rimpiangere quando il motore andava alla grade ed eravamo dei missili, che nostalgia. Se avessimo adesso quel motore da usare su queste strade normali, potremmo vedere le cose belle di tutto il mondo. Iniziamo a capire perché tanti, tanti anni fa ci era stata data un’automobile. 

Iniziamo a chiederci perché nessuno ci ha mai detto che l’importate non era l’automobile in se, ma quello che potevamo fare con l’automobile, dove potevamo andare con l’automobile. 

Tutti a parlarci di prestazioni del motore, di colori della carrozzerie e di dimensione dei cerchi delle ruote. Tutti a valutare noi e gli altri sugli optional delle nostre macchina, a fare chilometri e chilometri sulle strade dei soldi per comprarsi l’ultimo modello di qualche cosa. Avevamo il baule pieno di un sacco di cose inutili, cha alla fine non hanno fatto altro che appesantirci in tutti i viaggi, facendoci fare più fatica e consumando più benzina.

Sì, avevamo bisogno dei soldi per poter comprare la benzina, senza non ci saremmo mossi, ma bastava quella per poter andare e partire a esplorare il mondo. Credevamo invece che la cosa più importante fosse rendere più bella, ricca e confortevole la nostra automobile. Abbiamo passato la vita a guardare dentro la nostra macchina, quando il mondo vero era fuori lungo le strade del mondo.

Ci era stata data l’automobile per poter guidare per il mondo e vedere le tantissime cose belle. Guidare in nuove città, percorrere nuove strade, tutte diverse. Salite, discese, dritte o tortuose, vicino al mare o in cima alle montagne. Nella foresta più verde e nel deserto più rosa. Guidare e guidare fino a capire quali fossero le nostre strade della vita preferite, fino a capire su quali strade volevamo veramente guidare. Abbiamo consumato tutte le nostre gomme sulle strade sbagliate, su quelle dei soldi. 

Abbiamo passato le nostre vite valutandoci sui nostri optional, su chi di noi avesse il display sul cruscotto più grande, su quanti cavalli avessero i nostri motori. 

Non è colpa nostra, nessuno ci ha mai spiegato queste cose, e anche se qualcuno ha provato a farlo, tutto intorno a noi ci diceva il contrario: “i soldi sono la cosa più importante, perché con i soldi fai benzina ma soprattutto…. con i soldi puoi comprarti quello che vuoi ed essere felice”, “i soldi sono la felicità”. Nessuno a parlarci di vivere il mondo e pensare che per farlo era sufficiente il modello base della nostra automobile, un po’ di benzina e la voglia di andare, di guidare guardando fuori del finestrino.



Tanti, tanti anni fa, ci è stata donata la cosa più preziosa al mondo, la vita attraverso un corpo. La cosa difficile è capire che il corpo è lo strumento per godere del dono della vita, non è il dono in se. Questa mancanza di consapevolezza ci ha fatto rimanere concentrati sul corpo, sullo strumento. Abbiamo passato la nostra vita cercando di arricchire il corpo e non di arricchirci di vita."

Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita, vi voglio bene."

sabato 16 aprile 2016

L'Europa, il sorrio e la mia storia recente.

Cari Xander e Kiki,
qui sotto la sintesi del Dance Time del 16 aprile 2016. Ho parlato dell'Europa, del Sorriso e della mia recente storia.

durata 16:33

Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene.

giovedì 14 aprile 2016

L'importanza della visione senza porci limiti e di sorridere e accettare.

Cari Xander e Kik,
qui sotto la sintesi del Dance Time di oggi 14 aprile 2016. Trovare le mie considerazioni sull'importanza della visione senza porti limiti e di sorridere per accettare.

durata 9:02


Xander e Kiki siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene

mercoledì 13 aprile 2016

I Valori, parametro di giudizio di tutte le nostre scelte, e il lavoro quando si vive nel presente, nel qui e ora.

Cari Xander e Kiki,
qui sotto la sintesi del Dance Time del 13 aprile 2016. Nel video parlo dei Valori e del concetto di Lavoro in una impostazione di vivere sempre il presente, nel qui e ora.


durata 10:54

Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene.

martedì 12 aprile 2016

L'importanza di stare nel Qui e Ora, Paura e Coraggio, uscire dalle zone Confort e si sceglie per Paura o per Amore

Cari Xander e Kiki,
Qui sotto la sintesi del Dance Time del 12 aprile 2016. Ho parlato dell'importanza di vivere nel presente, cioè nel Qui e Ora sia nei momenti bellissimo, come quello che racconto, sia in quelli meno belli e difficili. Parlo della Paura e del Coraggio e della necessità di uscire dalla nostra zona Confort per entrare in quella di apprendimento, per poterci migliorare. Concludo dicendo che nella vita le scelte si fatto o per Paura o per Amore... a voi la visione.

durata 5:24

Cari Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene

martedì 5 aprile 2016

Lettere fra me e il nonno Vittorio

Cari Xander e Kiki,
ieri non Nonno Vittorio, mi ha scritto questa bellissima lettere, per me è stato un momento importantissimo della mia vita. Sotto trovate la mia risposta.

“Caro Ale,
solleciti i commenti ai Tuoi pensieri e alle Tue convinzioni, sei bello sia dentro che fuori anche se il mondo interiore e molto più armonioso e incredibile, dell’aspetto fisico. Il motivo è da ricondurre alla Tua personalità che è speciale, unica e affascinante, in maniera singolare, che mi hai superato in tutto – compresa le disavventure salutistiche. La fine della carriera di lavoro è vicina, ho vissuto una vita piena……. di soddisfazioni e rimpianti, di gioie e affetti con un percorso sempre diverso e, senza risparmiarmi.
Ti faccio presente, oltretutto (temo non ti sia chiaro, essendo ancora nel pieno del Tuo percorso) l’enorme valore delle tue convinzioni. Per non dire della realtà che stai attraversando pur con davanti un muro molto spesso di cemento armato, stai avanzando con ogni mezzo. Scusa la franchezza, felicità a parte, ma solo tu stesso con le tue capacità sei in grado di percorrere la voglia di vivere.
Ti ringrazio dell’onore e vanto che hai voluto darmi in ogni campo lavorativo e non.

Per quanto ci riguarda, non vedo come aiutarti in questo momento, sono fatto alla mia maniera, ti ho dentro di me, con la tua famiglia, come il meglio della mia vita – con l’augurio che sia altrettanto per te con i tuoi figlioli – Ti ribadisco che ti ammiro e ti ricordo che gli attuali problemi, come tu dici, non sono altro che una prova di illuminata maturità. E pensare che da piccolo ti chiamavo “il mio cuoricino”. Ciao”


Caro Papà,
Hai scritto cose bellissime, cose che non mi sarei mai aspettato leggere ma che avrei voluto. Cose non tutte vere. Non ti ho superato in tutto, è una frase senza senso. Non ci sono gare, non ci sono competizioni. Soprattutto sono quello che sono anche grazie a te, anzi più passano gli anni e più mi ritrovo in te. Più mi rendo conto di assomigliarti in tantissime cose. Del resto, se ci pensi, quanti anni siamo stati uno vicino all’altro? Partendo dal Centro 2, passando dal Beverly, fino a Lurisia. Quante pizze mangiate insieme dal Buson e il martedì sera alla Frida. Solo nelle tue ultime avventure non eravamo insieme.
Magari, non mi vedevi, eri super indaffarato nelle mille cose del lavoro, ma io ero li a guardarti. Ero lì per te, per starti vicino.
“Cosa vuoi fare da grande? Il lavoro del mio Papà”

Lo sto realizzando solo ora, scrivendo queste parole, ma tu sei il mio modello. Tutte le mie azioni, in qualche modo, le ho sempre confrontate con le tue. Molte volte cercando di fare il contrario, ma sei sempre stato il paragone.

Le mie convinzioni sono diverse dalle tue. C’è stato un periodo in cui discutevamo e litigavamo tutti i giorni, proprio per il nostro modo diverso di vedere le cose. Sembrava che vivessimo in due mondi diversi. Da li abbiamo iniziato a parlarci sempre meno, preferivamo il silenzio allo scontro, poi sono rimasti solo silenzio e rabbia. Quanta rabbia, ci ho messo anni ad accettare le nostre diversità, e ancora adesso molte volte non ci riesco e mi arrabbio ma è un mio limite.

Essere padre mi sta aiutando tantissimo a capire. La vita è piena di cose difficili, ma tra le più difficili, forse la più difficile, c’è il rapporto tra genitori e figli. Il rapporto umano più complesso in assoluto. Tu, mi hai conosciuto come la cosa più fragile e indifesa al mondo. Mi hai visto e aiutato a crescere. Io, ti ho conosciuto come la mia sicurezza, la mia forza. Il mio scudo dai pericoli della vita. Sei stato il mio modello, il mio esempio. Adesso siamo due uomini che si devono confrontare nelle loro diversità, arrivando da percorsi opposti.
Tutto questo condito dai due sentimenti più forti al mondo, quello dell’amore del genitore verso il figlio e quello dell’amore del figlio verso il genitore. I presupposti non sono di un rapporto facile, alla fine non ce la stiamo cavando malissimo, giusto?

Mi scrivi che non puoi fare niente per me, perché “sono fatto alla mia maniera”, questo è contro qualsiasi mia convinzione, quindi non te la passo. Ti chiedo di sorridere, di essere felice.
Niente mi aiuterebbe di più nel vedere te e la mamma felici.

La felicità di un genitore è vedere i propri figli felici ma anche la felicità di un figlio è vedere i propri genitori felici.

E pensare che un giorno ti ho detto: “Papà non chiamarmi più “il mio cuoricino”, adesso sono grande”. Fortunatamente, ho ancora la possibilità di dirti: “Papà, adesso sono adulto, puoi chiamarmi ancora “il mio cuoricino””. Ti voglio bene.

domenica 3 aprile 2016

La percezione del tempo che passa - video



La nostra percezione del tempo che passa

Cari Xander e Kiki,
vi riporto un posto scritto su 18mq, dove faccio qualche considerazione sulla percezione che abbiamo del tempo che passa.

"Che giorno è? Da quanto sono qui? Ho già mangiato? E’ già ora di cena. Mi è saltato completamente il senso del passare del tempo. Non riesco più a posizionarmi su un’asse temporale.
Ma cosa ho fatto nelle ultime 3 settimane, non 3 ore, 3 settimana?

Sapete, da quando sono entrato nei 18mq mi sono messo in modalità “qui e ora”, che implica anche il non tenere il tempo. Non ho orologio al polso, guardo l’ora solo per il Dance Time e durante la notte nell’attesa del mattino.
Ho i miei riti quotidiani, ma non mi servono per segnare il tempo, mi servono per riempire il tempo.
La sensazione è strana, un po’ di smarrimento e un po’ di leggerezza. Un po’ mi fa paura, perché è una sensazione nuova, non ho quell’apparente senso di controllo che tutti noi pensiamo di avere del nostro tempo.

Il tempo è un elemento importantissimo della nostra vita, consideriamo la nostra vita come un lasso di tempo che dobbiamo riempire in qualche modo. Ogni anno festeggiamo il nostro compleanno, non per festeggiare la nostra venuta al mondo, l’essere vivi, ma per segnare il tempo che passa. Per segnare a che punto del percorso, di cui conosciamo l’inizio ma non la fine, ci troviamo e lo proiettiamo sul futuro, “soffia ed esprimi un desiderio!!!”.

Il tempo è la nostra vita, tutti lo conosciamo, lo teniamo sotto controllo. Alcuni cercano anche di gestirlo.

Da Einstein, sappiamo che il tempo è relativo, non è un valore assoluto, non ha un ritmo costante ma è relativo allo spazio e alla velocità.

Io credo, che il Nostro tempo, non quello di Einstein, non quello che regola l’universo, ma il tempo della Nostra Vita, il tempo del trascorrere della nostra vita, il passare del tempo che noi percepiamo, sia legato all’attività del nostro cervello.

La sensazione che proviamo tutti, è questo senso di accelerazione del tempo con il passare degli anni, con il passare del tempo stesso. Ci sembra che ci sia una formula matematica che dice: più candeline sulla torta, meno tempo fra una torta e l’altra. Quante volte, noi adulti, diciamo: ”è già natale, ma mi sembra di aver festeggiato ferragosto solo ieri”, “e passato un altro anno e non me ne sono accorto” e tantissime altre frasi del genere. Più diventiamo grandi, più invecchiamo e più ci sembra che il tempo acceleri, che passi velocissimo.
Chi non si ricorda quando invece, il tempo non passava. Quando aspettavamo con fremito che il tempo passasse. Era i nostri primi anni di vita. Ogni anno scolastico era un’era geologica per noi. Fra una vacanza e l’altra, un’eternità. Il tempo non passava, ci sembrava di essere sempre piccoli, i traguardi dei 14, 16 e 18 anni erano scalate verso il futuro. Riportate quei lassi temporali nella vostra vita da adulto, 2 anni sono ieri, 4 l’altro ieri. Se avete dei figli, vi è più facile capire. “Oramai è grande, ha 10 anni e mi sembra di averlo tenuto in braccio per la prima volta solo ieri”. Vi ricordate invece voi, quel traguardo dei 10 anni, una vita intera per arrivarci…
E perché questo? Spazio e velocità? No, la causa è il nostro cervello e la nostra attenzione alla vita che viviamo qui e ora. La causa è l’attività del nostro cervello, il tempo si intensifica quando il nostro cervello deve elaborare nuove esperienze. Il tempo passa veloce quando viviamo il già vissuto, quando viviamo nella routine.
Avete presente quella sensazione di quando fate un weekend in una nuova città, di “cavolo siamo in vacanza da 3 giorni ma mi sembra di non andare in ufficio da 3 mesi”. Quando usciamo dalla nostra routine, ricominciamo ad avere la percezione del tempo che passa, dandogli valore.

Ho fatto l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove erano obbligatori 3 esami di teologia. Fortunatamente nei tre, ne ho fatto uno con Don Giussani, personaggio discusso e amato nello stesso tempo. Io so solo che è stato il primo a spiegarmi come funziona il nostro sistema di apprendimento, a cui ho poi legato il concetto della nostra percezione del passare del tempo. Della nostra percezione del tempo che passa. Mi sembra un attimo, mi sembra una vita.
Ogni volta che facciamo qualche cosa di nuovo, tutti i nostri sensi sono attivi, tutti connessi al cervello a cui mandano le informazioni che rilevano. Odori, colori, rumori, sensazioni, ecc. Siamo un sistema di sensori attivi al 100%. Il cervello riceve le informazioni, le elabora, le analizza e le cataloga. Crea il primo schema/modello di quella nuova esperienza e lo archivia nella nostra memoria esperienziale. La prima volta in pizzeria: elaboriamo tutto, colore delle pareti, posizione dei tavoli, colore della tovaglia, arredamento del tavolo, il forno, come si fa una pizza, i vari tipi di pizza. Come si ordina al cameriere, come si mangia una pizza, il gusto della pizza. Un’attività molto intesa, tutti i nostri sensi e soprattutto il cervello lavorano tantissimo.
Il cervello lavora in tempo reale per creare lo schema/modello dell’esperienza “andare in pizzeria”. Andiamo la seconda volta in pizzeria, e inizia ad arricchire l’esperienza “andare in pizzeria”, il cervello paragona le informazioni raccolte la prima volta con quelle nuove e migliora il suo modello di andare in pizzeria. Ogni giro in pizzeria, un piccolo miglioramento. Fino a quando il modello è praticamente completo e comprende il 99% di possibili diverse esperienze che si possono fare in una pizzeria. Da quel momento in poi, quando andiamo in pizzeria il cervello passa in modalità schema/modello, cioè non elabora più tutto la realtà ma solo le cose fuori schema/modello. Da quel momento vi ricorderete di essere andati in una pizzeria solo per qualche cosa di estremamente nuovo, fuori dallo schema/modello. Vi ricorderete se la pizza è particolarmente buona o cattiva, se il cameriere è stato particolarmente scortese. Non vi ricorderete sicuramente, il colore della tovaglia o la faccia del pizzaiolo.
E cosi per tutte le esperienze della vita.

Appena nati tutto è nuovo, il nostro cervello lavora tantissimo nei primi 15/20 anni della nostra vita, dove elabora e crea lo schema/modello di tutte le esperienze base della nostra vita. Poi, per ogni cosa che faremo, dal lavarci i denti alla mattina a scalare una montagna, cercherà nella memoria esperienziale quello schema/modello più vicino a quello che stiamo facendo, e lo userà per interpretazione la realtà. Se non trova nessuno schema/modello, allora si attiverà e inizierà a raccogliere i dati dai 5 sensi ed elaborare le informazioni. Il cervello è attivo e noi percepiremo il passaggio del tempo.
Quando la nostra vita diventa ripetitiva, lui inizia a lavorare meno, non elabora più la realtà, ci traduce la realtà in schemi/modelli senza elaborarla, senza viverla più nella realtà. Se non vivi nella realtà, il tempo non trascorre, si ferma e i giorni passano, le settimane passano e arriva la nuova torta con una candelina in più.

Perché funziona così? Per spirito di conservazione, perché elaborare la realtà è un lavoro molto intenso e faticoso. Il nostro cervello riceve ogni secondo 60 milioni di informazioni dall’esterno. Per minimizzare lo sforzo, quando viviamo un’esperienza già vissuta, lui ci propone lo schema/modello di quell’esperienza, così non è costretta a elaborare nuovamente tutte le informazioni, con il relativo sforzo. Quanti di voi si ricorda con facilità cosa avete mangiato ieri a pranzo? Dove avete parcheggiato la macchina l’ultima volta che siete andati al supermercato? Sono cose che avete fatto e vissuto, ma perché non le ricordate? E si, che vi ricordate cosa avete mangiato 10 anni fa in quel ristorante spagnolo a Madrid. La risposta è cervello attivo, cervello passivo. La prima volta che fate qualche cosa, il cervello è attivo, sta vivendo la realtà perché la deve elaborare, analizza tutti i dati che arrivano dai sensi. Fate una cosa già fatta diverse volte nella vostra vita e il cervello rimane passivo. Il cervello vi passa lo schema/modello, non sta elaborando la realtà.

Facciamo cose nuove, il cervello è attivo per rilevare le informazioni, viviamo nella realtà e il tempo si allunga. Facciamo qualche cosa già fatta tante volte, e il cervello non elabora la realtà e ci passa il relativo schema/modello, non viviamo nella realtà ma della memoria esperienziale, il tempo si accorcia, si annulla. Non percepiamo il tempo passare ma soprattutto non viviamo a pieno.

Sicuramente la prima risposta del cervello alla richiesta di “attivarsi”, sarà una bella intenzione. Non fermatevi a quella, passate ai fatti.

Quando viviamo sempre la stessa realtà, quando facciamo sempre le stesse cose. Quando entriamo nella routine, perdiamo il senso del trascorre del tempo. Quando viviamo una nuova esperienza, facciamo una cosa nuova nella vita, ma anche viviamo in modo attivo qualche cosa già fatta, ritroviamo il senso del trascorrere del tempo.

A noi la responsabilità di imporre al nostro cervello di “stare attento” a quello che facciamo, a vivere la realtà. Ogni giorno è nuovo, ogni alba è nuova. Noi aiutiamolo, cercando di fare nuove esperienze, di uscire dalla ruotine della nostra vita. Non è fatica, è vita. Non è necessario andare dall’altra parte del mondo per fare questo, basta guardare il nostro mondo con attenzione, con occhi nuovi. Non lasciamo che la vita scorra, viviamola. Accendiamo il nostri sensi e il nostro cervello e tutto sarà nuovo.

Attenzione perché socialmente ci viene indicato uno schema di vita che si basa sull’imparare, sul fare nuove esperienza, i primi anni della nostra vita e poi ripetere, usare, sfruttare quello che abbiamo imparato per il resto della vita. Questo schema è perfetto per la sopravvivenza della specie, dove il principale scopo è sopravvivere, minimizzare lo sforzo per ottimizzare i risultati.
Quel tempo è però passato, il mondo è cambiato, con il nostro fare l’abbiamo incasinato e non possiamo più pensare solo alla nostra sopravvivenza ma dobbiamo pensare alla sopravvivenza del mondo stesso. Dobbiamo quindi tenere il nostro cervello attivo. Dobbiamo forzarlo al lavorare. Questo però è un altro discorso…

Qui nei 18mq ho potuto sperimentare quanto scritto sopra. Rimanere chiuso in questa navicella, limitata nello spazio, nel fare e nelle esperienze, ha completamente azzerato la mia percezione del passare del tempo. Nel mio vissuto, questi 24 giorni sempre uguali, sono stati poco più di un lampo… ma in questo caso va bene cosi. Giusto? Mi riempirò di vita li fuori!!!!


Volete allungare il tempo fra una torta e l’altra, fate nuove esperienze, vivete con occhi nuovi ogni istante della vostra vita, state concentrati, attivate tutti i vostri sensi. State sul qui e ora. Non vivete nelle esperienze del passato, fatelo lavorare questo cervello!!!!! Fate che ogni istante sia un nuovo istante da vivere a pieno…"

ISTRUZIONI:
- La vita si vive ad istanti ed emozioni;
- L'istante diventa vita se i nostri sensi e il nostro cervello sono attivi;
- Il cervello cerca di minimizzare lo sforzo, e tende a non attivarsi se non per nuove esperienze, altrimenti usa schemi/modelli di esperienze precedenti simili;
- La percezione del tempo che passa è legata all'attività del nostro cervello. Il cervello non è attivo, non percepiamo il tempo e questo passa senza che noi ce ne accorgiamo. Il cervello è attivo, percepiamo il tempo che passa e gli diamo valore. Allunghiamo la nostra vita.
- Per avere una vita più lunga, dobbiamo fare nuove esperienze, vivere con occhi nuovi ogni istante. Attivare i sensi, il cervello e stare concentrati nel qui e ora.

Kiki e Xander siete la cosa più bella della mia vita. Vi voglio bene.